
Che cosa comunica il bambino che piange?
Una difficoltà genitoriale nel primo anno di vita.
Il pianto, nel bambino piccolo, è la forma primaria di comunicazione. I messaggi sono davvero tanti: fame, sonno, irritazione, dolore, malessere, non vuole stare da solo, vuole stare in braccio, fastidio per i bisogni fatti nel pannolino, paura, capricci o è semplicemente viziato? Il bambino attira l’attenzione degli adulti, i quali però, soprattutto nelle prime esperienze genitoriali, non sanno che cosa succede e che cosa devono fare.
Mamma e papà entrano in crisi, si sentono indifesi e in difficoltà perché vorrebbero aiutare il figlio ma, nella concitazione del momento, non riescono a trovare la soluzione. Anche perché spesso il pianto viene associato immediatamente ad un malessere, ma a detta degli esperti, il bambino può usare questo suo unico mezzo comunicativo per una semplice bizza o per un fisiologico egocentrismo.
L’ansia genitoriale in questo caso ha una forte impennata, ma non giova a nessuno. Lo stato d’animo di mamma e papà viene percepito dal figlio, che attiva uno stato d’allerta, sviluppa un senso di precarietà e insicurezza, accentuando il pianto. Nei genitori cresce lo stress, il nervosismo e la frustrazione.
Che cosa consigliano gli esperti?
La prima cosa da fare è mantenere la calma. Parlare con voce dolce e tranquilla, agire movimenti lenti e rassicuranti. La tranquillità del genitore viene captata dal bambino, che piano piano troverà la propria serenità. In questo clima pacifico è possibile fare una rapida analisi di quali possono essere le richieste e i bisogni del piccolo.
Generalmente questo tipo di difficoltà coglie i genitori nel corso del primo anno di vita del bambino, in seguito il pianto è più selettivo, specifico.
[Fonte testo: Periodico mensile RIZA Psicosomatica]
[Fonte immagine: http://www.cdn.babyworld.co.uk/ ]